THIS MUST BE THE PLACE



Lunedì 23 Gennaio 2012 ore 15.30 e ore 21.00

Soggetto:
Oggi cinquantenne, l'ebreo Cheyenne (che non ha rinunciato a rossetto, cerone e lunghi capelli gonfiati intorno al viso) vive a Dublino con la moglie Jane, cercando di gestire il proprio passato di grande rock star tra ribellione e depressione. Quando da New York arriva la notizia che l'anziano padre è in fin di vita,
Cheyenne (che non lo vede da 30 anni) si decide a partire. Non fa in tempo a vederlo prima della morte, e, attraverso la lettura di alcuni diari e l'incontro con chi lo ha conosciuto, apprende che l'uomo era impegnato nella caccia ossessiva al criminale nazista che lo aveva torturato in Germania durante l'Olocausto.
L'aguzzino vive negli Stati Uniti, e Cheyenne decide di proseguire la ricerca del padre. Gli indizi lo portano in zone remote dell'Utah, dove, tra freddo e neve, l'uomo viene rintracciato...

Valutazione Pastorale:
Ecco il film nato dall'incontro tra Sorrentino e Sean Penn durante la serata finale del festival di Cannes 2008, l'americano presidente di giuria, lui premio della giuria stessa per "Il divo". Spiega Sorrentino: "Da un lato il dramma dei drammi, l'olocausto, dall'altra il suo avvicinamento ad un mondo opposto, fatuo e mondano per definizione, quale quello della musica pop e di un suo rappresentante, ormai fuori dal giro e abbandonato ad un'esistenza oscillante tra la noia e il leggero stato depressivo". La storia comincia in Irlanda ma poi riserva la parte più corposa agli States. "I luoghi americani (il deserto, le stazioni di servizio, i bar bui coi banconi lunghissimi, gli orizzonti lontanissimi) sono un sogno -dice Sorrentino- e, quando ci sei dentro, non diventano reali ma continuano ad essere sogno...". Tra i due punti si muove il protagonista, uomo che ha scelto un modo di fare un po' infantile, segnato da un umorismo secco e tagliente, amaro e generoso. La ricerca del nazista, portando lo script 'on the road', taglia il racconto. La regia sale in primo piano: Sorrentino è bravo a inquadrare località e persone, a restituire i sapori di atmosfere, umori, sensazioni; ma così facendo perde i raccordi con il copione. In questo modo la parte finale cala di tensione, troppo estetizzante e poco incisiva nei confronti dei temi affrontati. Il regista europeo affronta da 'autore' la mitologia americana, e ne esce con qualche ferita. Resta un prodotto pensato e condotto con coraggio, segno di crescita professionale e che, dal punto di vista pastorale, è da valutare come consigliabile e nell'insieme problematico.

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