NON LASCIARMI




Soggetto:Nel college di Hailsham (Inghilterra), tra i tanti piccoli allievi, ci sono Kathy, Tommy e Ruth. Quando diventano maggiorenni, i tre vengono avviato ad altri alloggi, in attesa che arrivi il loro turno. Li aspetta un destino di donatori di organi...

Valutazione Pastorale:All'inizio c'è il romanzo omonimo di uno scrittore giapponese, residente a Londra. Della sostanziale fedeltà e di qualche variazione rispetto alla pagina scritta, dirà chi ha letto l'originale. Di sicuro da tempo non si vedeva un copione in grado di infondere una così profonda lacerazione delle capacità interiori e affettive. Costruito con sottile forza metaforica sull'incontro tra un apparato imbolico/fantascientifico e una cornice di vigoroso, preciso, lucido realismo, il copione sfonda ben presto la soglia del 'possibile' per entrare in quella del 'vero' che chiede una difficilissima presa d'atto e una lacerante resa dei conti. La regia di Romanek affida ogni immagine all'inquietante costruzione di un'esistenza chiusa e predestinata, pronta a ribellarsi e subito respinta indietro. Il dolore scavato nelle pieghe dei giovani resta misterioso e inaccesibile, tra melodramma, orrore, rabbia impotente. Trappole della scienza, della medicina o del cuore? Film angoscioso che smuove riflessioni più filosofiche che spirituali e dal punto di vista pastorale, é da valutare come complesso, problematico e adatto per dibattiti.

LA PRIMA STELLA



Lunedi 30 Gennaio 2012

Soggetto:Jean Gabriel, sposato e padre di tre bambini, non lavora e passa il tempo nell'agenzia ippica vicino casa. Un giorno, un po' provocato dalla piccola Manon, promette che porterà tutta la famiglia in vacanza sulla neve.
Con mille espedienti per raccogliere i soldi necessari, infine Jean Gabriel riesce a partire. Con lui ci sono i tre figli e la nonna, sua madre Bonne, ma non la moglie Suzy, in polemica con il marito. Nella località alpina il gruppo vive tutte le inevitabili difficoltà legate alla presenza di un gruppo di colore, tra ironia e diffidenza.
Tuttavia alla fine Jean Gabriel riesce a farsi benvolere, e anche la moglie arriva a riunire interamente la famiglia.

Valutazione Pastorale:Da un lato c'è un padre che, stanco di sentirsi un nullafacente, prova a fare qualcosa per la propria famiglia.
Dall'altro la 'novità' che si tratta di un nucleo familiare misto, lui di colore, lei bionda, i figli a metà. Su questi due fronti la commedia gioca tutte le carte di un racconto di disavventure, imprevisti, equivoci, secondo la tradizione più tipica del genere. Il tono scherzoso predominante toglie problematicità agli argomenti trattati a favore di un approccio ironico, disincantato, divertito. Fermo restando l'intento di mettere alla berlina i rigurgiti di razzismo purtroppo sempre presenti. Da punto di vista pastorale, il film é da valutare come consigliabile e nell'insieme semplice.

THIS MUST BE THE PLACE



Lunedì 23 Gennaio 2012 ore 15.30 e ore 21.00

Soggetto:
Oggi cinquantenne, l'ebreo Cheyenne (che non ha rinunciato a rossetto, cerone e lunghi capelli gonfiati intorno al viso) vive a Dublino con la moglie Jane, cercando di gestire il proprio passato di grande rock star tra ribellione e depressione. Quando da New York arriva la notizia che l'anziano padre è in fin di vita,
Cheyenne (che non lo vede da 30 anni) si decide a partire. Non fa in tempo a vederlo prima della morte, e, attraverso la lettura di alcuni diari e l'incontro con chi lo ha conosciuto, apprende che l'uomo era impegnato nella caccia ossessiva al criminale nazista che lo aveva torturato in Germania durante l'Olocausto.
L'aguzzino vive negli Stati Uniti, e Cheyenne decide di proseguire la ricerca del padre. Gli indizi lo portano in zone remote dell'Utah, dove, tra freddo e neve, l'uomo viene rintracciato...

Valutazione Pastorale:
Ecco il film nato dall'incontro tra Sorrentino e Sean Penn durante la serata finale del festival di Cannes 2008, l'americano presidente di giuria, lui premio della giuria stessa per "Il divo". Spiega Sorrentino: "Da un lato il dramma dei drammi, l'olocausto, dall'altra il suo avvicinamento ad un mondo opposto, fatuo e mondano per definizione, quale quello della musica pop e di un suo rappresentante, ormai fuori dal giro e abbandonato ad un'esistenza oscillante tra la noia e il leggero stato depressivo". La storia comincia in Irlanda ma poi riserva la parte più corposa agli States. "I luoghi americani (il deserto, le stazioni di servizio, i bar bui coi banconi lunghissimi, gli orizzonti lontanissimi) sono un sogno -dice Sorrentino- e, quando ci sei dentro, non diventano reali ma continuano ad essere sogno...". Tra i due punti si muove il protagonista, uomo che ha scelto un modo di fare un po' infantile, segnato da un umorismo secco e tagliente, amaro e generoso. La ricerca del nazista, portando lo script 'on the road', taglia il racconto. La regia sale in primo piano: Sorrentino è bravo a inquadrare località e persone, a restituire i sapori di atmosfere, umori, sensazioni; ma così facendo perde i raccordi con il copione. In questo modo la parte finale cala di tensione, troppo estetizzante e poco incisiva nei confronti dei temi affrontati. Il regista europeo affronta da 'autore' la mitologia americana, e ne esce con qualche ferita. Resta un prodotto pensato e condotto con coraggio, segno di crescita professionale e che, dal punto di vista pastorale, è da valutare come consigliabile e nell'insieme problematico.

16 gennaio Vai e Vivrai



Genere: Drammatico
Regista: Radu Mihaileanu
Attori: Moshe Agazai (Schlomo bambino), Moshe Abebe (Schlomo
adolescente), Sirak M. Sabahat (Schlomo grande), Roschdy Zem (Yoram),
Roni Hadar (Sara), Yael Abecassis (Yael), Mimi Abonesh Kebede (Hana),
Raymonde Abecassis (Suzy), Rami Danon (Papy), Meskie Shibru Sivan
(madre di Schlomo)

Durante la carestia che nel 1985 flagella l'Etiopia, Israele e Stati Uniti organizzano l'operazione Mosé con l'obiettivo di far espatriare gli ebrei etiopi detti Falascià e condurli nella Terra Promessa. Il piccolo etiope Schlomo viene spinto dalla madre a fingersi ebreo per uscire dal Paese e salvarsi la vita. In Israele viene preso per orfano e adottato da Yoram e Yael, coppia israeliana con due figli. Ma Schlomo fatica ad integrarsi nella cultura locale e mantiene sempre vivo il desiderio di rivedere la madre. Cresciuto, conosce la coetanea ebrea Sarah che si innamora di lui, ma insieme sperimenta anche momenti di razzismo a scuola e nella
società. Trova conforto solo nel maestro Qes Amhra che lo aiuta ad entrare in corrispondenza postale con la madre e al quale confida la verità sulla propria storia. Quindi parte per Parigi per studiare medicina.
Diventato medico, si arruola, sperimenta gli orrori della guerra nei territori occupati, viene ferito gravemente. Assistito dalla famiglia adottiva e da Sarah, si decide finalmente a sposarla. Ma quando le rivela di non essere ebreo, la ragazza lo lascia. Solo grazie all'intervento di Yael, Sarah si convince a cambiare idea e a
tornare da lui. Ora il ragazzo diventato uomo può tornare in Etiopia per riabbracciare la madre.

Valutazione Pastorale:
Circa sette anni fa il regista rumeno Radu Mihaileanu si impose all'attenzione internazionale con "Train de vie", storia amaramente comica di persone che per sfuggire dai nazisti indossavano le loro divise. Dopo un titolo passato quasi sotto silenzio ("Ricchezza nazionale"), ecco l'autore di nuovo alle prese con una storia di
popolazioni che fuggono, che lasciano radici sicure per affrontarne altre che nascondono insidie e rischi.
Questa pagine riguardante gli ebrei etiopi é certo poco conosciuta e molto opportuna é la scelta di riproporla,prendendo però poi a protagonista un personaggio che invece ebreo non é. Questo punto di partenza consente al regista di dare il via ad un ampio e vibrante scenario sociale/politico/religioso, dentro il quale
trovano spazio le mille sfaccettature dei complessi problemi in atto sullo scacchiere mediorientale. La famiglia lontana e la famiglia acquisita, l'essere ebreo alla nascita e il 'diventarlo', la religione come pienezza di vita o come motivo di contrasto: aspetti forti della storia, che si intrecciano con il 'fare memoria', con il ruolo dei singoli e dei gruppi, con le lacerazioni dei sentimenti e delle attese. Un storia-denuncia, nella quale l'amore prevale sul dolore, senza retorica e cone quilibrio. Forse 150' alla fine risultano tanti, ma il regista
tocca con giustezza le corde della sofferenza e della commozione e ci fa sentire partecipa di una comunità più ampia e sopra ogni confine. Dal punto di vista pastorale, il film é da valutare come raccomadabile, problematico e adatto per dibattiti.