CENTOCHIODI


LUNEDI 5 MARZO ORE 15.30 E ORE 21.00
FILM DI ERMANNO OLMI
CENTOCHIODI (2007)

Genere: Metafora
Regista: Ermanno Olmi
Attori: Raz Degan (il professore, voce italiana: Adriano Giannini), Luna Bendandi, Amina Syed, Michele Zattara, Damiano Scaini, Franco Andreani, Andrea Landredi (postino), Franco Seroni (messo comunale), Roberta Marrelli (pubblico ministero), Bruno Tabacchi (preside), Carlo Feltrami (appuntato).
Tematiche: Gesù; Libertà; Metafore del nostro tempo; Solidarietà-Amore; Religiose;


Soggetto:
Una mattina il custode di una università bolognese arriva davanti alla biblioteca storica e non crede ai propri occhi: tantissimi libri, edizioni rare e preziose, sono sparsi sul pavimento aperti e trafitti con i chiodoni delle capriate. Autore del gesto é un professore di filosofia, giovane e già molto autorevole, deciso a lasciarsi alle spalle la "schiavitù" della pagina scritta per recuperare un rapporto nuovo con la vita quotidiana. Eccolo allora, arrivato su un argine del Po, sistemarsi in una casupola abbandonata, che a poco a poco diventa punto di riferimento delle persone che imparano a conoscerlo.

Valutazione Pastorale:
E' giusto accostarsi a questo film, sapendo che é l'ultimo diretto da Olmi? Potrebbe in un certo senso 'obbligare' a guardarlo come un film-testamento, la sintesi di quasi cinquanta anni di attività? Il rischio c'è, ed é forse inevitabile, avendo Olmi stesso tenuto a sottolineare con forza questa particolarità. "Chi raccontare? Chi ricordare fra tanti come esempio assoluto di umanità cui poterci riferire nei momenti bui per trovare sostegno e speranza? - dice il regista- E' scontato dire il Cristo? Si: il Cristo Uomo, uno come noi, che possiamo incontrare in un qualsiasi giorno della nostra esistenza, in qualsiasi tempo e luogo. Il Cristo delle strade, non l'idolo degli altari e degli incensi. E neppure quello dei libri, quando libri e altari diventano comoda formalità, ipocrita convenienza o addirittura pretesto di sopraffazione (...)". Così il copione mette al centro un giovane professore smarrito che si sveste (ma non di tutto) per ritrovare il contatto con la natura, e in lui noi pensiamo di vedere un Cristo moderno. Ma ci sbagliamo, perché lui si allontana e quelli che restano sono i contadini, i semplici, i puri di cuore: e sono loro, che noi incontreremo di nuovo. Gioca un po' a nascondino Olmi in questo suo racconto che si immedesima lieve nel passare delle opere e dei giorni, che ha la fragranza del pane appena sfornato e la pudica verbosità della burocrazia incombente. I contadini, il Po, la terra tornano ad essere per il regista bergamasco quell'unicum esistenziale e spirituale che é lievito di civiltà, di vita in comune, di rispetto reciproco. Crocifiggere i libri e rinunciare all'altare in nome di una religione da strada appare dunque come una provocazione tanto salutare quanto azzardata. Bisogna ascoltarlo Olmi, mentre pronuncia queste frasi, e scavare nella sua sofferenza di credente, che con sincerità disegna lo scenario del futuro in una Fede conquistata giorno per giorno nel contatto della vita concreta. Il film ha la semplicità del poemetto lirico e le cadenze ieratiche della parabola. Il professore scompare, e i contadini si sentono soli. Ne tornerà un altro? Olmi resta in ricerca, e noi con lui sappiamo che il Cristo della Fede non scompare mai, ma é con noi ogni giorno ed è con noi sull'altare, in ogni chiesa, luogo di pacificazione e di perdono.

IL VILLAGGIO DI CARTONE



27 febbraio ore 15,30 e ore 21

IL VILLAGGIO DI CARTONE (2011)

Genere: Drammatico

Regista: Ermanno Olmi

Attori: Michel Lonsdale (il vecchio prete), Rutger Hauer (il sacrestano), Alessandro Haber (il graduato), Massimo De Francovich (il medico), Elhadji Ibrahima Faye (il soccorritore), Irima Pino Viney (Magdaha), Fatima Alì (Fatima), Samuels Leon Delroy (il bardo), Fernando Chironda (il cherubino), Souleymane Sow (l'avverso), Linda Keny (madre), Blaise Aurelien Ngoungou Essoua (padre).


Soggetto:

Un luogo periferico, da qualche parte nell'Italia di oggi. Una vecchia chiesa viene dismessa. Gli operai lavorano per staccare quadri, togliere addobbi, smontare oggetti sacri. L'anziano parroco osserva tra incredulità e sgomento. Il suo sguardo è levato "...verso il culmine del presbiterio dove la sparizione del Grande Crocefisso è il compimento ultimo dell'atto sacrilego(...). Tuttavia, di fronte allo scempio della sua chiesa, il prete avverte l'insorgere di una percezione nuova che lo sostiene...Non più la chiesa delle cerimonie liturgiche, degli altari dorati, bensì Casa di Dio dove trovano rifugio e conforto i miseri e derelitti", come dice lo stesso Olmi.

Il villaggio di cartone” di Ermanno Olmi ha un’apertura lucida quanto inquietante, come il precedente film “Centochiodi” (2007). Dai semplici ma puri di “Centochiodi” siamo così passati ai migrati derelitti dalla pelle scura di “Il villaggio di cartone”.

L’incipit, anche stavolta, è sconvolgente. Un povero e vecchio parroco assiste impotente alla spoliazione degli arredi sacri della sua chiesa. I fedeli che un tempo gremivano lo spazio sacro sono svaniti. Quindi si chiudono i battenti. Il grande crocifisso posto in alto, al di sopra dell’altare, viene fatto scendere in terra, impacchettato e riposto in una cassa, da accatastare nel magazzino polveroso del passato. La messa è davvero finita.Sul vecchio sacerdote cala all’improvviso la disperazione. Avverte vivissima e bruciante l’approssimarsi della fine. Dolore, disperazione, impotenza. Splendida visualizzazione di una condizione temporale. Il tempo della desertificazione dello spazio religioso, che sta riempiendo di metastasi, almeno dalla seconda metà degli anni Sessanta del secolo passato, il corpo del cristianesimo occidentale. Una premessa così forte avrebbe meritato bel altro svolgimento e conclusione. Nella chiesa spogliata dei sacri arredi trova immediatamente riparo un nutrito gruppo di clandestini, arrivati dopo un viaggio in mare periglioso e in transito verso la Francia. Inaspettatamente il vecchio sacerdote scopre il significato autentico del sacerdozio (fino ad ora mai provato), e apprende anche quanto il mondo sia diventato ingiusto e vigliacco, poiché scaglia leggi odiose, rifiuto, disprezzo e persecuzione contro i poveri fuggitivi. Nelle ormai inutili mura di recinzione di una brutta chiesa di cemento, sorge il villaggio di cartoni. Da questo punto il film si trasforma in una sorta di teatro brechtiano, con il bene e il male separati con l’accetta. Fuori sono raffiche di mitra, elicotteri in volo, sirene spiegate, movimenti e luci di segugi armati e grida di aiuto. La Legge dei forti sta assediando i deboli al riparo nella casa di Dio. Anche fra i buoni c’è di tutto: prostitute dal cuore grande, fanatici della religione, kamikaze, saggi e colti, padri di famiglia, atei e devoti, sciacalli che approfittano delle debolezze dei propri fratelli. C’è chi ama l’intera umanità e chi invece ne disprezza una parte accusandola di avergli rubato il presente. Il vecchio sacerdote è il solo a difendere il branco dei disperati. Lo ha persino tradito, come Caino, il vecchio sacrestano. I medici dell’ospedale sono delatori. Meglio rivolgersi allora al medico del luogo, scampato da bambino al campo di sterminio. Lui cura i bisognosi e non bada al colore della pelle o alla condizione di clandestinità.


Valutazione Pastorale:

Il virgolettato sopra proposto è di Olmi stesso, contenuto nelle note informative, di una trama tanto scarna nei fatti quanto intensa nelle suggestioni. Gli 'ultimi' del nostro tempo sono identificati da Olmi nei profughi che arrivano sulle coste italiane, fuggendo da situazioni terribili, e chiedono aiuto e comprensione. L'extracomunitario, l'immigrato, il clandestino mettono oggi a dura prova la nostra capacità di dimostrarci cittadini del mondo. E se il tessuto politico-legislativo-burocratico appare talvolta incerto, indeciso, frenato da sterili contrasti, il richiamo evangelico ha il dovere di elevarsi alto e forte, di gridare il bisogno di un'unica famiglia umana, di ribadire che le porte del Signore sono sempre aperte. Tutto si svolge in interni, tra le pareti della chiesa e della sacrestia, tra le ombre che offuscano la mente e le luci che accendono il cuore. Olmi torna al cinema asciutto della meditazione e della preghiera. Come il protagonista, anche il regista è stanco, affaticato, in qualche momento meno incisivo: e il copione perde un po' lucidità. Ma la carica di spiritualità che emana dalle immagini è intatta. E interpella tutti.

Olmi non ha dubbi: più delle fede può il bene. Conclude il film una riflessione sulla necessità che gli uomini debbano cambiare il corso della Storia altrimenti sarà la Storia a cambiare gli uomini.

Del film il cardinale Gianfranco Ravasi (amico e consulente di Olmi per il film insieme a Claudio Magris) ha detto: «È una forte ed emozionante parabola con una netta impronta umana e civile ma anche con iridescenze cristologiche (…) ogni film di Olmi e ogni sua ricerca sono simili a una spada di luce che trapassa l’epidermide della storia per coglierne la carne e scendere fino al midollo delle ossa» (“L’Osservatore Romano”, 24 luglio 2011).

E il regista ha dichiarato «Non bisogna inginocchiarsi davanti al crocifisso, che è solo un simulacro di cartone, ma verso chi soffre come gli extracomunitari».

Nel suo film Olmi non si pone il problema di come mai il parroco abbia perso il gregge. Riduce una crisi epocale e drammatica - la secolarizzazione dell’Occidente cristiano - alla contingenza dei flussi migratori. Quando cinquant’anni fa le chiese cristiane (e non solo cattoliche) del Canada e dell’Inghilterra cominciavano a svuotarsi, la povertà nel frattempo stava scemando verticalmente (il meraviglioso boom economico) e l’immigrazione non esisteva.

La «teologia della liberazione», aveva lo scopo di scardinare la Chiesa come istituzione, per andare incontro alla realtà, scegliendo l’opzione dei poveri e degli ultimi, preferendo il bene alla fede, esattamente come il vecchio parroco, incarnazione di una visione della religione come pura immanenza terrena (i poveri, oggi sostituti da una nuova categoria sociologica, i migranti).

Ma la liberazione del mondo non può essere ridotta alla mera liberazione dalla povertà o dall’immigrazione: la vera liberazione è dal peccato.

Anche il vecchio Olmi vuole scardinare l’istituzione ecclesiastica (custode della fede) per cercare la salvezza nella barca spezzata e alla deriva dei fuggitivi. Oggi alla deriva è la barca di Pietro. Ma pensandoci bene, in conclusione, l’ultimo cinema di Ermanno Olmi è gnostico e scorretto.

Perché?

La semplificazione dell’apologo (perché di questo si tratta) è evidente. Ma troppo semplicistica.

Infatti se è vero che “più grande di tutto anche della fede, è la carità”, e che “misericordia io voglio e non sacrificio” e che “non chi dice ma chi fa la volontà del Padre entrerà nel Regno”…. è altrettanto vero che la carità è autentica nella misura in cui nasce dalla fede che riconosce che il vero “buon samaritano” è il Cristo crocifisso, che si è immolato per l’umanità, e può trovare solo nell’incontro col Cristo la sua ultima e autentica ragione e possibilità.

Pertanto contrapporre l’adorazione al crocifisso con la cura per il povero (come fa l’apologo di Olmi) è semplificazione scorretta e fuorviante. Ma, purtroppo, di questi tempi, “politicamente corretta”: sparare sulla Chiesa istituzione, in modo gratuito o pertinente che sia, è troppo facile e, ci sia consentito, scorretto, per chi da quel piatto ha sempre mangiato e che quel passo verso la scelta preferenziale degli ultimi, forse, non ha mai fatto.

La storia, e non l’ideologia anticattolica oggi dominante, ci dice invece che, a parte lodevoli eccezioni, lì dove il povero e il derelitto è amato, in qualunque parte del mondo avvenga, ciò è fatto in nome del Dio Crocifisso. Non di altri. E dentro la Chiesa.


Buona Visione

Ma come fa a fare tutto?



lunedì 20 febbraio ore 15,30 ore 21


Kate Reddy è una moglie, una madre, una donna in carriera ed evidentemente è dotata di abilità paranormali per come riesce a tenere tutto in equilibrio. La sua vita è frenetica, ma ha un marito fantastico, Richard, un architetto che di recente si è messo in proprio, due figli adorabili, Emily, che sta per compiere sei anni, e Ben, un bambino che la adora. Kate è anche una donna che ama il suo lavoro. È la responsabile degli investimenti nella filiale di Boston di una società finanziaria di New York, lavoro che spesso la porta a viaggiare, cosa che le complica non poco la sua vita familiare. I colleghi, gli amici e i parenti dicono tutti la stessa cosa quando parlano dell'abilità di Kate di conciliare ogni aspetto della sua vita: Ma come fa a far tutto?

TERRAFERMA




Lunedì 13 Febbraio ore 15.30 e ore 21.00
Soggetto:Sull'isola, Ernesto, 70 anni, non vuole rottamare il peschereccio. Il figlio Nino invece ha smesso di pescare e si dedica ai turisti. Filippo, 20 anni, ha perso il padre in mare ed è sospeso tra il nonno e lo zio. Sua madre, Giulietta, giovane vedova, capisce che il futuro è lontano da quell'isola. Un giorno dal mare arriva un gruppo di migranti. Tra essi, Giulietta accoglie Sara, un figlio piccolo, un altro che nasce poco dopo. Non possono restare nascosti, Giulietta e Ernesto cercano di farli scappare ma la sorveglianza è rigida. Giulietta sembra rassegnata a rinunciare. Filippo invece non lo è: rompe i sigilli del peschereccio sequestrato e in piena notte si lancia in mare aperto. Verso la terraferma.

Valutazione Pastorale:Dopo "Respiro" (2002) e "Nuovomondo" (2006), Crialese torna a Lampedusa dove, dice: "Ho trovato un luogo molto diverso da come lo ricordavo durante le riprese di 'Respiro'...il mio scoglio sperduto in mezzo al mare è adesso terra di frontiera". Da qui le due facce della storia. Da un lato il carattere chiuso e orgoglioso di Ernesto, che non rinuncia alle tradizioni; dall'altro il tema, difficile e scomodo, dell'immigrazione. Dopo aver girato intorno all'argomento in una sorta di diario di ciò che la cronaca recente ci ha raccontato, il regista trova una sintesi nel giovane Filippo, nella sua follia che rompe indugi e schemi e fugge verso nuovi 'mondi'. E' diritto naturale dell'uomo di andare, cercare, conoscersi, cambiare luogo. Ma poi ci sono le leggi che sempre l'uomo fa per organizzarsi in società, per darsi delle regole condivise. Tra qualche lieve forzatura e sbalzi di tensione, Crialese opta per un finale onirico e arrabbiato, metaforico e generazionale. L'ispirazione è sincera, lo svolgimento non sempre riuscito. Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come consigliabile, problematico e adatto per dibattiti.