La bottega dell'Orefice


Lunedi 2 Aprile ore 15.30 e ore 21.00

La bottega dell'Orefice tratto dall'omonima opera scritta dal Beato Karol Wojtyla - Giovanni Paolo II

LA BOTTEGA DELL'OREFICE

Paese: ITALIA, CANADA
Anno: 1998

Regia: Michael Anderson

Sceneggiatura: Jeff Andrus, Mario Di Nardo dal romanzo omonimo di KAROL WOJTYLA

Interpreti: Burt Lancaster, Andrea Occhipinti, Olivia Hussey

E' la storia di due coppie, di due matrimoni, di due amori diversi, che si agitano sullo sfondo della Seconda Guerra Mondiale e degli scempi nazisti. Ma La bottega dell'orefice è soprattutto un'intensa metafora delle nozze, unione eterna e indissolubile, che deve vincere la fragilità dei sentimenti umani.


Karol Wojtyła nell’opera filosofica come nell’espressione poetica si è sforzato di congiungere la dimensione etica con quella estetica.
In occasione della Beatificazione di Giovanni Paolo II Rai Cinema, attraverso la 01 Distribuzione, edita di nuovo in DVD il film La bottega dell’orefice, adattato per lo schermo da Michael Anderson nel 1987, ricavato dall’omonima opera narrativa di Wojtyła.
Nel 1958 Wojtyła era stato nominato vescovo ausiliare di Cracovia, ed era nel pieno della maturità di studioso e insegnante universitario. Due anni dopo pubblicava un’opera filosofica fondamentale per il proprio percorso intellettuale, Amore e responsabilità, accompagnata da La bottega dell’orefice, versione poetica della medesima problematica.
I due testi, dissimili ma uniti dalla stessa visione, vertono sulla responsabilità dell’amore coniugale. Quindi riflessione etica e rappresentazione artistica nell’itinerario wojtyliano si intrecciano profondamente, completandosi. Prima del sacerdozio Wojtyła aveva mostrato una vera e propria passione per le arti, in particolare per la letteratura e il teatro, tanto da meditare di dedicarsi a tempo pieno nell’attività drammaturgica. Entrato nell’Università Jaghellonica nel 1938, si era orientato verso la filologia polacca.
Scrive nella sua autobiografia Dono e Mistero (Libreria Editrice Vaticana, 1996): «A proposito degli studi, desidero sottolineare che la mia scelta della Filologia polacca era motivata da una chiara predisposizione verso la letteratura. Tuttavia, già durante il primo anno, attirò la mia intenzione lo studio della lingua stessa. Studiavamo la grammatica descrittiva del polacco moderno ed insieme l'evoluzione storica della lingua, con un particolare interesse per il vecchio ceppo slavo. Questo mi introdusse in orizzonti completamente nuovi, per non dire nel mistero stesso della parola. La parola, prima di essere pronunciata sul palcoscenico, vive nella storia dell'uomo come dimensione fondamentale della sua esperienza spirituale. In ultima analisi, essa rimanda all’imperscrutabile mistero di Dio stesso». L’arte, la parola, il linguaggio. Tutta l’opera successiva di Wojtyła sarà segnata da quella giovanile esperienza, interrotta dall’occupazione tedesca della Polonia nel 1939, dalla chiusura dell’Università Jaghellonica e dal trasferimento del corpo docente in campo di concentramento. Il teatro e la frequentazione della letteratura, specialmente quella tragica, tiene vivo nel giovane Wojtyła l’interesse per l’arte.

Nell’estate del 1939 si apre La bottega dell’orefice. Quattro ragazzi, due donne e due uomini, Anna e Teresa, Andrea e Stefano, si recano ad un campo estivo. L’aria è pesante. La guerra con la Germania nazista viene ritenuta imminente. Al cinema le immagini dei cinegiornali fanno paura. I nazisti marciano ovunque: quale sarà la prossima vittima? La Polonia, non ci sono dubbi. Anna e Stefano e Teresa e Andrea decidono, nonostante tutto, di sposarsi. Stefano e la moglie espatriano in Canada, aiutati da un parente. Andrea, invasa la Polonia, parte per il fronte, perdendo la vita. Il tempo d’amore di una coppia è stato brevissimo, nonostante Teresa sia rimasta incinta, e dia alla luce Cristoforo. Quello di Anna e Stefano, invece, è lungo, fortunato (il marito si afferma come medico), modellato sugli stili di vita canadesi, e arricchito da tre figli, la cui primogenita Monica è coetanea di Cristoforo. Teresa, nonostante la vedovanza, si è affermata come pianista, ed emigra anche lei in Canada.
Il tempo trascorre, i figli crescono. Le loro esistenze sono al riparo dalla nuova disgrazia abbattutasi sulla Polonia: il comunismo. Il matrimonio di Teresa è stato fermato dalla guerra: quello di Anna si ritrova inaspettatamente sull’orlo della rottura.
Indifferenza, incomprensione, freddezza, scomparsa dell’affetto, reciproco egoismo, fanno naufragare la comunione famigliare. La vita non è facile, per nessuno. Monica e Cristoforo, siamo arrivati al 1962, decidono di sposarsi, e celebrano le nozze a Cracovia, città dei loro genitori. L’orefice menzionato nel titolo, interpretato dal maestoso e vecchio Burt Lancaster, è una figura irreale, metafisica, priva di tempo. Ha venduto le fedi prima ai genitori, poi ai figli, è apparso nei momenti cruciali delle loro esistenze intrecciate. E dopo aver chiuso la vecchia bottega di Cracovia, esce in strada e pronuncia queste parole: «il futuro dipende dall’amore».
Quando non riesce ad amare l’uomo si corrompe. Questa semplice constatazione regge l’impalcatura filosofica di Amore e responsabilità, ed è la semplice evidenza di La bottega dell’orefice. La vita, in fondo, nell’universo wojtyliano, somiglia ad un’opera d’arte. Il suo mistero può essere scandagliato nelle pieghe più complesse di pensiero, ragionamento, analisi. Ma può essere anche esplicitato nel realismo del fatto concreto, del vissuto personale, così come viene tradotto in scena dall’arte, dal dramma, dalla poesia, dalla letteratura, dal cinema.
Al sacerdote spetta il compito di indirizzare, essere presente, ricordare la verità agli uomini, soffrire e condividere le umane disgrazie. Poi sono loro che debbono decidere come comportarsi eticamente; a loro spetta trarre dalle difficoltà poste dall’esistenza il senso autentico della vita, al tempo stesso umano e divino.

Il dramma epocale della nazione che segnò Karol Wojtyła è lo sfondo entro il quale si muovono sei esseri umani e due generazioni. L’uomo, il professore, il sacerdote, il pastore che divenne Giovanni Paolo II amò l’arte, senza alcuna distinzione disciplinare. La frequentò attivamente, la difese da corruzioni nichiliste e secolarizzanti. Ci ha lasciato un patrimonio filosofico e poetico che col passare degli anni non è invecchiato. Leggere Amore e responsabilità e La bottega dell’orefice nella versione originale, vedere la trasposizione cinematografica che ne rispetta l’essenza morale, ne è ancora oggi, a mezzo secolo di distanza, una limpida dimostrazione.

IL CANTICO DI MADDALENA



IL CANTICO DI MADDALENA
ore 15,30 e ore 21
lunedì 26 marzo


Genere: Commedia, Drammatico
regia: Mauro Campiotti
sceneggiatura: Mauro Campiotti, Erica Cattaneo
casting director: Pietro Sarubbi
consulente storico: Maria Gloria Riva
fotografia: Alberto Livraghi
costumista: Francesca Piotti
scenografa: Francesca Romano
musica: Marco Marcuzzi
audio presa diretta: Sandro Broggini
aiuto regista: Leo Fiorica
assistente regia: Davide Lomma
montaggio: Michela Menichelli
produttore esecutivo: Raffaello Saragò

Il cantico di Maddalena è “una sfida produttiva” resa possibile dall’incontro tra MAUCA FILM (casa di produzione indipendente lombarda) e le suore dell’Ordine dell’Adorazione Perpetua di San Francisco che da circa 20 anni intendevano realizzare un film sulla vita e le opere della loro Fondatrice: Caterina Sordini.

La vicenda umana e storica di Caterina Sordini (1770-1824) è di straordinaria intensità e nessuno prima l’aveva raccontata al cinema. Le tappe del cammino spirituale interiore che portano la giovane ragazza toscana ad una conversione sempre più gioiosa e radicale (la scelta della clausura, la fondazione dell’Ordine delle Adoratrici Perpetue), si intersecano agli avvenimenti della storia e della cultura del tempo che vedono la chiesa attraversare momenti difficili: le vittorie di Napoleone, l’arresto di papa Pio VII, l’affermarsi della visione illuministica; eventi di cui Caterina, divenuta Madre Maria Maddalena, fu osservatrice attenta e formidabile interprete.

Caterina Sordini, nota già al suo tempo per le azioni miracolose e la capacità profetica, è stata beatificata da papa Benedetto XVI nel 2009. Il cantico di Maddalena è un’occasione per entrare in contatto con la storia e il carisma della Santa, ancora oggi testimoniato in tutto il mondo nell'attività dell'Ordine delle Adoratrici Perpetue da lei fondato.

Il personaggio di Caterina Sordini è interpretato nel film da Silvia Ferretti, attrice di origine romana, che ora vive a Milano dove ha lavorato per alcuni anni al Teatro Carcano affrontando Pirandello e Shakespeare diretta da Giulio Bosetti. Al cinema è stata interprete per Marco Bellocchio in Sorelle mai (2010) e Vincere (2009).
Il film vede la partecipazione straordinaria di Pietro Sarubbi nella parte del Commissario Milanesi e di Elisabetta Pellini nel ruolo della novizia Clementina.

Il film, originariamente registrato in presa diretta e recitato in inglese è stato solo successivamente doppiato in spagnolo e italiano.


LA STORIA

Caterina Sordini nasce a Porto Santo Stefano da famiglia benestante. Viene battezzata mentre un volo di tortorelle bianche si libera nel cielo dell’Argentario. La bambina è vivace al punto di perdersi all’età di cinque anni tra le rocce che scendono a picco sul mare. L’angoscia dei famigliari è grande e quando Caterina viene ritrovata gravemente ferita agli occhi, la disperazione assale la madre. Contrariamente ad ogni ragionevole e drammatica diagnosi medica, la bambina guarisce e corre verso l’adolescenza maturando nella bellezza fisica ed interiore. Felicemente fidanzata ed ormai prossima alle nozze, la giovane Sordini ha la visione di Cristo nello specchio della propria stanza che la invita a seguirla.
Lo sconvolgimento è totale, la provocazione troppo forte per non mettere in discussione tutta l’esistenza. Caterina lascia il fidanzato e sceglie la clausura presso il Monastero di Ischia di Castro. Non sempre e non tutto, nella vita del convento sembra facilitare il percorso di fede della giovane. Ma il rapporto con il Mistero cresce fino alla nuova grande visione in refettorio. Anche l’autorità religiosa è costretta a verificare gli accadimenti narrati dalla Badessa Caterina ora Madre Maria Maddalena. Le sue estasi premonitrici trovano riscontro nella realtà. La vittoria di Napoleone, l’arresto di Pio VI, l’avanzata del positivismo illuminista, la sfida culturale che la sua fede richiede, sono aspetti e fatti che la vedono impegnata in prima persona per ottemperare alla richiesta di Cristo: la fondazione dell’Ordine delle Adoratrici Perpetue. Con ostinazione Maddalena si batte per scrivere la regola, ma il traditore è in agguato. Quando Roma è in mano ai giacobini, il nemico sferra il suo attacco. Così, il nuovo convento viene perquisito e chiuso, Madre Maddalena arrestata, processata. Accusata di essere spia e prostituta viene condannata all’esilio a Firenze. Ma dalla sconfitta nasce il germoglio nuovo che conferma la profezia. Maddalena ritorna a Roma più forte di prima circondata da giovani fiorentine che hanno deciso di seguirla per continuare l’esperienza della preghiera adorante e della clausura.
Tutto era stato predetto: il ritorno del Santo Padre, la sconfitta di Napoleone la nascita del nuovo Ordine e la morte al cadere delle foglie.

7KM da GERUSALEMME



7KM da GERUSALEMME

Lunedì 19 marzo ore 15,30 e ore 21
Nella visione delle ore 21 presenterà il FILM l'autore del romanzo
PINO FARINOTTI



Genere: Drammatico
Regista: Claudio Malaponti
Attori: Luca Ward (Alessandro Forte), Alessandro Etrusco (Gesù), Rosalinda Celentano (Sara), Alessandro Haber (Angelo Profeti), Eleonora Brigliadori (Marta Piano), Emanuela Rossi (Ginevra Santi), Isa Barzizza (Elvira Marenghi), Pino Farinotti (Cesare Piano), Alessandra Barzaghi (Martina Marenghi), Paolo Limiti.
Soggetto:
Alessandro Forte è un pubblicitario in crisi privata e professionale. Un biglietto aereo che giunge nelle sue mani in modo del tutto inatteso, lo spinge a recarsi a Gerusalemme. Qui, su una via al di fuori della città, farà l'incontro con un uomo che afferma di essere Gesù. Alessandro non gli crede ma non per questo rinuncia al dialogo Cominciando a parlare con lui, tra stupore e scetticismo, Forte pensa di doversi ricredere e comincia a riandare con la memoria ad alcuni avvenimenti della propria vita professionale e privata: un'amica, Sara, che sta per morire; una presentatrice televisiva, Ginevra, che vuole provocare il pubblico; una coppia formata da Marta, costretta sulla sedia a rotelle, e dal marito Cesare; la sua stessa situazione di separato dalla moglie e dalla figlia piccola. Quando colui che dice di essere Gesù scompare, tutte queste situazioni trovano una loro, impensata ricomposizione finale. E ora Alessandro sa che da lassù gli sono arrivati dei segnali.
Valutazione Pastorale:
Diciamo subito che, come spesso accade per film tratti da libri, il libro in questione, di Pino Farinotti, è di gran lunga meglio del film: è un libro avvincente e coinvolgente, da leggere assolutamente.
Il film ne riprende alcuni episodi, ne mantiene alcuni dialoghi (ma altro è il linguaggio scritto, altro quello parlato!), finendo per essere a volte semplicistico altre retorico.
Ciononostante, è comunque un film che vale la pena vedere e che dice cose discutibili ed interessanti
Raoul Follereau (grande figura del laicismo impegnato sul fronte della cura delle malattie endemiche) intitolò un suo libro "Se un giorno Gesù bussasse alla vostra porta lo riconoscereste?". Il Cristo di Malaponti (dal romanzo omonimo di Pino Farinotti, tradotto in diversi Paesi) fa di tutto per farsi 'riconoscere'. Si veste addirittura (e lo fa consapevolmente) così come l'iconografia entrata nell'immaginario popolare lo ha raffigurato da secoli. Ma l'uomo resiste come sa e può
Alessandro è un pubblicitario di successo, sa 'vendere' (e si chiede, come il Giuda di Jesus Christ Superstar, perché il Messia non sia venuto oggi sulla Terra sfruttando i media per lanciare il suo messaggio) ma non ha smesso, a suo modo, di interrogarsi ponendosi le domande di un uomo del suo tempo. Lo fa però nascondendosi dietro l'incredulità di chi ne ha viste troppe per lasciarsi ingannare dal primo venuto. Il Gesù che incontra su una via nel deserto (solo facendo il vuoto intorno si può provare ad 'ascoltare') non è un predicatore intenzionato a fare proseliti (giunto sulle rive, ormai inquinate dai rifiuti, del Giordano battezzerà nuovamente se stesso e non chi è con lui). È invece un compagno di strada pronto a liberare, grazie a una sorridente ironia, la sua figura e missione dalle scorie culturali accumulatesi nei secoli.
Ha però bisogno dell'uomo, di un uomo che ha vissuto il dolore di una separazione, che conosce la perdita degli affetti più cari, che vive in un mondo in cui dominano la falsa solidarietà e i grandi ideali proclamati a parole da conduttrici televisive la cui autostima è pari solo alla loro ignoranza. Un uomo però che è anche attore o testimone di piccoli gesti di solidarietà e di rinunce compiute per umana coerenza.
Luca Ward (nonostante la parte finale del film in cui la sceneggiatura vuole 'chiudere' troppe situazioni che sarebbe stato meglio affidare alla libera lettura dello spettatore) sa dare al personaggio di Alessandro la giusta dose di scetticismo misto a umanità così come Alessandro Etrusco riesce ad evitare qualsiasi cenno di ieraticità posticcia al suo Gesù.
Dice il regista Malaponti: "Il film intende essere un ragionamento sulla condizione dell'uomo occidentale (...) partendo da un presupposto laico, attraversa la religione cattolico-cristiana in un tentativo di attenzione, una speranza verso un destino che va considerato e ricomposto". Le intenzioni, per quanto già viste e sentite in molte circostanze, sono dunque valide e incoraggianti. Ed é vero che la parte, per così dire, descrittiva (ossia i casi raccontati) ha indubbi agganci con la realtà. Quello che manca, alla fine, é la capacità di sostenere il copione sotto il profilo drammaturgico-esistenziale. L’ambientazione non è in Terra Santa, come si racconta, ma in Siria: per chi ha visto i luoghi santi è una delusione (il Giordano non è l’immondezzaio l’Eufrate; Gerusalemme non è Palmira….), per chi non c’è stato forse può bastare così….
Alcuni riferimenti alla realtà sono un po’ superficiali (la sindone del ladrone…. Le citazioni su padre Pio….).

Il LIBRO di Pino Farinotti
Farinotti è riuscito a dare vita a un Cristo ricco di umanità, una persona semplice che non parla con saccenza e pedanteria, un Gesù che ammette addirittura di non essere stato un «bravo falegname», ma un tipo piuttosto distratto, ben lungi dal mostrarsi un Dio irraggiungibile e lontano. Questa vicinanza all’umano e la schiettezza e la simpatia che dimostra ne fanno un personaggio giovane, che in modo
scanzonato e anticonformista può far arrivare a tutti, adulti e giovani, uno dei messaggi-chiave della religione cattolica: la speranza.

GRAN TORINO

Lunedì 12 marzo ore 15.30 e ore 21



Titolo Originale: Gran Torino

Paese: USA
Anno: 2009

Regia: Clint Eastwood

Sceneggiatura: Nick Schenk

Durata: 117'
Interpreti: Clint Eastwood, Geraldine Huges, Brian Haley

Walt Kowalski, un veterano della guerra di Corea con un carattere ruvido e un pessimo rapporto con i figli ormai grandi e lontani, resta solo dopo la morte dell’adorata moglie Dorothy. Rifiuta le profferte di amicizia del giovane prete a cui lo aveva affidato la moglie in punto di morte, ma viene suo malgrado coinvolto nelle disavventure dei vicini di casa coreani quando il giovane Thao viene costretto da una gang di quartiere a tentare di rubare la Gran Torino 1972 a cui Walt è maniacalmente attaccato. La sua prima reazione è quella di prendersela violentemente con il ragazzo, ma poi Walt si trova inaspettatamente a difendere la sorella di Thao, Sue, e si guadagna così la stima di tutti gli asiatici del quartiere. È l’inizio di un coinvolgimento sempre più profondo in cui Walt vedrà messa i discussione tutta la sua visione del mondo.

Rimasto privo di quest’ancora nei confronti della vita e del mondo esterno, Walt vede i suoi stessi cari (figli ben poco amorevoli con mogli egoiste, nipoti con piercing e tatuaggi che guardano le sue decorazioni con sufficienza e derisione) come degli estranei né apprezza il tentativo di amicizia offerto dal giovane prete della parrocchia cui si scopre, volente o nolente, affidato in punto di morte dalla moglie.

Il mondo che lo circonda, poi, è inesorabilmente cambiato e Walt si trova attorniato da persone di razze e culture diverse dalla sua, persone che non sa e non vuole capire, ma che non fanno che accrescere il suo risentimento.
È così che il suo sguardo incattivito e sempre pieno di disprezzo si posa con ostilità anche sulle case di un vicinato che lui si rifiuta di lasciare, ormai abitate praticamente solo da stranieri, soprattutto asiatici e coreani, che a Walt rievocano gli anni peggiori della sua vita, quelli della guerra e della violenza che solo la vicinanza di Dorothy gli aveva permesso di esorcizzare.

Gente di cui non capisce la lingua e tanto meno gli usi, ma recepisce la trascuratezza nel prendersi cura delle loro proprietà, un delitto capitale per uno come Walt, che ha un garage pieno di attrezzi in perfetto ordine e una macchina d’epoca perfettamente funzionante e lucidata (ma mai utilizzata...). Guarda caso nella villetta accanto vive una famiglia priva di un capo famiglia e perciò vittima delle angherie di una gang giovanile di conterranei, decisi ad avviare al crimine il giovane e indifeso Thao, sottraendolo alla madre, alla nonna e soprattutto all’energica sorella.

Come nelle migliori storie un evento drammatico (la prova di iniziazione a cui viene sottoposto il giovane coreano, rubare la macchina di Walt) mette inesorabilmente in contatto questi due mondi con esiti imprevedibili.

Walt, infatti, come rifiuta ostinatamente gli approcci del sacerdote (una figura che inaspettatamente Eastwood descrive con realismo e simpatia, dandogli tocchi di verità anche sotto l’aspetto della cura pastorale e amicizia umana che dedica al coriaceo Kowalski) inizialmente cerca di sottrarsi al rapporto sempre più profondo che si intreccia con i vicini di casa e attraverso di loro con tutto il quartiere di cui, cedendo al suo naturale amore per l’ordine e la giustizia, Walt finisce per diventare il “protettore”.

Poi però, come una vera e propria grazia, il vecchio che ringhia riscopre il piacere di prendersi cura delle persone e di lasciare che altri si prendano cura di lui, di insegnare da padre (come non ha saputo essere per i suoi figli: memorabile, seppur un po’ greve, la lezione di mascolinità al giovane Thao tenuta con la collaborazione dell’amico barbiere).
Ma la lezione dovrà passare anche dalla messa in discussione della propria filosofia di vita (tanto simile a quella dei vecchi Callaghan interpretati da Eastwood), improntata a un rigoroso dente per dente, in cui l’uso delle armi e della violenza, seppur a fin di bene, è consentito. Così mentre Walt si avvicina finalmente al sacramento della confessione, allo stesso tempo comprende che la sua ultima sfida per salvare la vita e il futuro della sua nuova famiglia esige un ripensamento totale di se stesso e un difficile sacrificio (la cui natura è allusa nell’immagine finale di Walt sul luogo della resa dei conti con la gang coreana che non vogliamo anticipare).

In Million Dollar Baby Eastwood aveva ritratto la figura in ultimo “dannata” di un uomo che si riscopre padre solo per ritrovarsi incapace di stare al fianco d una figlia adottiva tragicamente provata dalla vita. Qui, invece, ritrae e incarna, senza farsi mancare tocchi di umorismo e grande profondità, il suo Walt Kowalski con un salto di qualità in positivo. Un uomo duro e aggressivo (eppure consapevole di aver avuto il dono di una moglie capace di tenerlo attaccato alla vita e al suo valore), ma fondamentalmente giusto, che a poco a poco impara a riaprirsi alla vita e alla speranza (rappresentata anche dalla confessione), fino a comprendere ed accettare un cambiamento più profondo che implica il mettere da parte le proprie istintive posizioni per fare davvero il bene dell’altro.

GRAN TORINO ci aiuterà a trovare il fondamento di questa carità: in Cristo che è morto per noi. Rileggeremo questo famoso film come una grande parabola su Dio: dalle “leggi” dell’Antico Testamento, alla misericordia di Dio Padre, al suo morire sulla croce per prendere su di sé il male degli uomini. Dice il Papa: “l’essere fratelli in umanità e, in molti casi, anche nella fede, deve portarci a vedere nell'altro un vero alter ego, amato in modo infinito dal Signore.”