Lezioni di cioccolato 2


Titolo Originale: Lezioni di cioccolato 2       
lunedì 30 aprile ore 15,30 e ore 21

Paese: ITALIA
Anno: 2011
Regia: Alessio Maria Federici
Sceneggiatura: Fabio Bonifacci       
Durata: 103
Interpreti: Luca Argentero, Hassani Shapi, Nabiha Akkari, Vincenzo Salemme, Angela Finocchiaro       
 
Mattia, che abbiamo conosciuto nel primo film della serie, è il solito geometra maldestro negli affari e volatile nei sentimenti, mentre l'amico egiziano Kamal, completato il corso alla Perugina, ha aperto una pasticceria ma i clienti sono pochi. Entrambi hanno bisogno di una svolta. Entrambi però si mettono di nuovo nei guai: Kamal, per ottenere dei finanziamenti, paga una tangente e rischia di venir incriminato; Mattia si innamora di una ragazza egiziana ma non sa che Nawal altri non è se non la figlia del suo amico...
 
Avevamo apprezzato il primo Lezioni di cioccolato per molti motivi: il modo divertente e positivo di mostrare l'incontro fra due culture; la progressiva maturazione di Mattia, in origine sessuocentrico e consumista, grazie anche all'amore per la saggia e bella Cecilia. Il film era stata la conferma delle buone doti di attore di Luca Argentero e la scoperta dell'irresistibile Hassani Shapi , sempre più apprezzato in Italia. Il pubblico aveva mostrato di apprezzare, per nulla spaventato dall'eccesso di product displacement della Perugina, con una buona risposta al botteghino.
Era quindi prevedibile un sequel che cercasse di rinnovare la formula conservandone tutti gli aspetti positivi. Per ripartire con una nuova storia d'amore a beneficio di Mattia è stata sacrificata Cecilia, la sua precedente fidanzata (Violante Placido) ed è entrata in campo la tunisina Nabiha Akkari , reduce dai successi di Che bella giornata; ritroviamo anche l'egiziano Kemal che questa volta è diventato il vero co-protagonista della storia. Anche la struttura narrativa è rimasta invariata, tutta incentrata sugli equivoci (Mattia si innamora di una bella egiziana, senza sapere che in realtà è figlia di Kamal). Per arricchire la storia è stato inserito come sub-plot un'altra storia contrastata: il timido Vincenzo Salemme, maître della Perugina, cerca di corteggiare la ruvida ma ansiosa Angela Finocchairo, commissario di polizia.
Forse è proprio questo il problema della seconda puntata Perugina: nel timore del vuoto narrativo si sono aggiunti personaggi non omogenei al racconto e nell'impegno di valorizzare l'egiziano Kamal si è smarrita la coerenza dei personaggio.
Il personaggio di Nawal si mostra capace di dirottare il frivolo Mattia verso un amore vero, che corrisponda a un impegno per tutta la vita.
Il film affronta senza reticenze il tema dei rapporti prematrimoniali: se per Mattia la convivenza è un passaggio obbligato prima del matrimonio per "conoscersi meglio", Nawal gli prospetta, coerentemente con la sua tradizione, una visione diversa: è la decisione di sposarsi e di stare insieme per la vita che ha come suggello l'unione fisica .
A dire il vero il gesto di Nawal, più che un'intima convinzione sulla verità del matrimonio (lei stessa riconosce che avrebbe volentieri accettato la proposta del ragazzo, se non fosse stata trattenuta dal dovere di rispettare il volere del padre) appare un retaggio tutt'ora forte di tradizioni nazionali e famigliari.
Il colloquio confidenziale fra Mattia e il suo assistente Vito, che ricorda la sua giovinezza e il suo matrimonio con una ragazza rigorosamente illibata confermano la tendenza a considerare la castità matrimoniale un retaggio del passato o tradizioni di società diverse dalla nostra.
Ma tant'è, il comportamento finale è quello giusto.

MIRACOLO a LE HAVRE


MIRACOLO a LE HAVRE
lunedì 23 Aprile ore 15,30 e ore 21

Titolo Originale: Le Havre

Paese: Francia, Finlandia, Germania

Anno: 2011

Regia: Aki Kaurismäki

Sceneggiatura: Aki Kaurismäki

Durata: 93

Interpreti: André Wilms, Kati Outinen, Jean-Pierre Darroussin, Blondin Miguel

All'inizio del film il lustrascarpe Marcel e un suo collega vietnamita sono fermi alla stazione in attesa di clienti . Loro non guardano i volti delle gente che passa oltre frettolosa, ma i loro occhi sono fissi sulle loro scarpe, nella ansioso sforzo di individuare quelle di cuoio invece che le solite scarpe in materiale sintetico.
E' una annotazione minuta che fa il regista, la prima delle tante: nel micrococosmo in cui si svolge buona parte del film (la modesta casa in cui vive Marcel con la moglie Arletty, la panetteria, il bar e il negozio di frutta accanto a loro) l'attenzione si concentra sui piccoli gesti di ogni giorno: cucinare un uovo, lustrare le scarpe, mettere il modesto guadagno giornaliero in una scatola di latta nel cassetto della credenza, aprire l'armadio dove ci sono non più di due o tre vestiti.
E' un processo di semplificazione del linguaggio filmico che l'autore compie perché non è un fatto di cronaca che ci vuole raccontare (i presupposti ci sarebbero tutti: il fenomeno sempre attuale del flusso di clandestini che da Le Havre vogliono recarsi in Inghilterra) ma una novella gentile fuori del tempo. Anche il montaggio e le musiche hanno un gusto vintage e ricordano certi film a lieto fine degli anni '50

La semplificazione del fondale ha inoltre il vantaggio di porre in risalto i vari personaggi e ciò che senza troppe parole vogliono esprimerci.

La solidarietà matrimoniale e la benevolenza con i vicini di strada sono gli atteggiamenti predominanti.
Quando Marcel torna a casa la sera stanco e va a letto, Arletty si attrada a stirargli quel'l'unico vestito da lavoro e a lucidargli le scarpe, in modo che questo suo "marito bambino, mai cresciuto" possa trovarli già pronti per il giorno successivo. L'arrivo in casa di un bambino di colore scappato alla polizia innesca la solidarietà dei vicini: se Marcel va fino a Calais per trovare il nonno del ragazzo, la barista e la panettiera sono pronti ad offrire i loro risparmi per consentirgli di andare in Inghilerra dove l'attende la madre. Lo stesso ispettore di polizia, che conosce bene gli abitanti del quartiere, non esita ad avvisarli prima che arrivi un'ispezione dei gendarmi dell'immigrazione.
Una tale armonia umana non può che essere feconda: la stessa natura vi partecipa (il ciliegio del loro piccolo giardino è ormai forito) ed anche lo stesso Cielo (forse un miracolo) esulta


Un cast di attori franco-finlandesi, con le facce e le fogge da polar melvilliano, interagiscono in quel di Le Havre in un quartiere dove ancora “buongiorno vuol davvero dire buongiorno”, per usare – assolutamente non a caso - una frase di Miracolo a Milano, di De Sica e Zavattini. Eppure, la battuta più bella ed emblematica del film è proprio: “restano i miracoli”, dice il dottore, “non nel mio quartiere”, chiosa Arletty. È tutto qui il miracoloso (questo sì) nodo di poesia e disincanto, ottimismo e amarezza di cui è fatto Le Havre , uno dei migliori Kaurismaki in assoluto. Il finale si preoccuperà poi di illuminare il concetto, con uno splendido e improbabile ciliegio in fiore: un altro mondo è possibile o ci vorrebbe davvero un miracolo perché una storia come quella di Idrissa accadesse nella realtà? Entrambe le cose, sembra dire il regista: il cancro che affligge il nostro modo di vivere e di agire è a un livello più che mai avanzato, ma “restano i miracoli”.

UNA SEPARAZIONE


Lunedi 16 Aprile 2012 ore 15.30 e ore 21.00

UNA SEPARAZIONE
La fedeltà coniugale
Orso d'oro al Festival di Berlino, Oscar 2012 come miglior film straniero
Titolo Originale: Jodaeiye Nader az Simin

Paese: IRAN

Anno: 2011

Regia: Asghar Farhad

Sceneggiatura: Asghar Farhadi

Produzione: Asghar Farhadi

Durata: 123

Interpreti: Sareh Bayat, Sarina Farhadi, Peyman Moadi, Babak Karimi, Ali-Asghar Shahbazi

Simin vuole divorziare dal marito Nader perché l’uomo, per assistere il padre malato d’Alzheimer, ha deciso di rimanere in Iran anziché espatriare con la moglie e la figlia di undici anni. I due si amano ancora, ma per ripicca Simin si trasferisce dai genitori, lasciando soli la figlia e il marito con l’anziano malato. Nader deve assumere Riazeh, una donna incinta che lavora come badante di nascosto dal marito, rigido osservatore della Shari’a.
Un giorno Riazeh lega l’anziano al letto e si allontana. Nader ritorna con sua figlia e trova il padre legato, in stato di shock. Al rientro della badante, furioso, la allontana, spingendola fuori dalla porta. La sera stessa viene accusato di aver causato la morte del figlio che Riazeh aspettava, avendola fatta cadere sulle scale. È l’inizio di una guerra di tutti contro tutti, giocata in tribunale, tra menzogne e ipocrisie.

Nader e sua moglie Simin stanno per divorziare. Hanno ottenuto il permesso di espatrio per loro e la loro figlia undicenne ma Nader non vuole partire. Suo padre è affetto dal morbo di Alzheimer e lui ritiene di dover restare ad aiutarlo. La moglie, se vuole, può andarsene. Simin lascia la casa e va a vivere con i suoi genitori mentre la figlia resta col padre. È necessario assumere qualcuno che si occupi dell'uomo mentre Nader è al lavoro e l'incarico viene dato a una donna che ha una figlia di cinque anni e ed è incinta. La donna lavora all'insaputa del marito ma un giorno in cui si è assentata senza permesso lasciando l'anziano legato al letto, un alterco con Nader la fa cadere per le scale e perde il bambino.
Asghar Faradhi conferma con questo film le doti di narratore già manifestate con About Elly. Non è facile fare cinema oggi in Iran soprattutto se ci si è espressi in favore di Yafar Panahi condannato per attività contrarie al regime. Ma Faradhi sa, come i veri autori, aggirare lo sguardo rapace della censura proponendoci una storia che innesca una serie di domande sotto l'apparente facciata di un conflitto familiare. Il regista non ci offre facili risposte (finale compreso) ma i problemi che pone sono di non poco conto per la società iraniana ma non solo. Certo c'è il quesito iniziale non di poco conto: per un minore è meglio cogliere l'opportunità dell'espatrio oppure restare in patria, soprattutto se femmina? Perchè le protagoniste positive finiscono con l'essere le due donne. Entrambe con i loro conflitti interiori, con il peso di una condizione femminile in una società maschilista e teocratica ma anche con il loro continuo far ricorso alla razionalità per far fronte alle difficoltà di ogni giorno. Agghiacciante nella sua apparente comicità agli occhi di un occidentale è la telefonata che la badante fa all'ufficio preposto ai comportamenti conformi alla religione per sapere se possa o meno cambiare i pantaloni del pigiama al vecchio ottantenne che si è orinato addosso. Sul fronte opposto della barricata finiscono per trovarsi gli uomini che, o sono obnubilati dalla malattia oppure finiscono con l'aggrapparsi a preconcetti che impediscono loro di percepire la realtà in modo lucido. Ciò che va oltre alla realtà iraniana è l'eterno conflitto sulla responsabilità individuale nei confronti di chi ci circonda. Ognuno dei personaggi vi viene messo di fronte e deve scegliere. Sotto lo sguardo protetto dalle lenti di una ragazzina.
Una nota a margine: il cinema iraniano è veicolo stabile di una falsificazione narrativa che sta a priori di qualsiasi sceneggiatura. Sussistendo il divieto per le donne di mostrarsi a capo scoperto in pubblico i registi sono obbligati a farle recitare con chador o foulard vari anche quando le scene si svolgono all'interno delle mura domestiche narrativamente in assenza di sguardi estranei stravolgendo quindi la rappresentazione della realtà