MIRACOLO a LE HAVRE


MIRACOLO a LE HAVRE
lunedì 23 Aprile ore 15,30 e ore 21

Titolo Originale: Le Havre

Paese: Francia, Finlandia, Germania

Anno: 2011

Regia: Aki Kaurismäki

Sceneggiatura: Aki Kaurismäki

Durata: 93

Interpreti: André Wilms, Kati Outinen, Jean-Pierre Darroussin, Blondin Miguel

All'inizio del film il lustrascarpe Marcel e un suo collega vietnamita sono fermi alla stazione in attesa di clienti . Loro non guardano i volti delle gente che passa oltre frettolosa, ma i loro occhi sono fissi sulle loro scarpe, nella ansioso sforzo di individuare quelle di cuoio invece che le solite scarpe in materiale sintetico.
E' una annotazione minuta che fa il regista, la prima delle tante: nel micrococosmo in cui si svolge buona parte del film (la modesta casa in cui vive Marcel con la moglie Arletty, la panetteria, il bar e il negozio di frutta accanto a loro) l'attenzione si concentra sui piccoli gesti di ogni giorno: cucinare un uovo, lustrare le scarpe, mettere il modesto guadagno giornaliero in una scatola di latta nel cassetto della credenza, aprire l'armadio dove ci sono non più di due o tre vestiti.
E' un processo di semplificazione del linguaggio filmico che l'autore compie perché non è un fatto di cronaca che ci vuole raccontare (i presupposti ci sarebbero tutti: il fenomeno sempre attuale del flusso di clandestini che da Le Havre vogliono recarsi in Inghilterra) ma una novella gentile fuori del tempo. Anche il montaggio e le musiche hanno un gusto vintage e ricordano certi film a lieto fine degli anni '50

La semplificazione del fondale ha inoltre il vantaggio di porre in risalto i vari personaggi e ciò che senza troppe parole vogliono esprimerci.

La solidarietà matrimoniale e la benevolenza con i vicini di strada sono gli atteggiamenti predominanti.
Quando Marcel torna a casa la sera stanco e va a letto, Arletty si attrada a stirargli quel'l'unico vestito da lavoro e a lucidargli le scarpe, in modo che questo suo "marito bambino, mai cresciuto" possa trovarli già pronti per il giorno successivo. L'arrivo in casa di un bambino di colore scappato alla polizia innesca la solidarietà dei vicini: se Marcel va fino a Calais per trovare il nonno del ragazzo, la barista e la panettiera sono pronti ad offrire i loro risparmi per consentirgli di andare in Inghilerra dove l'attende la madre. Lo stesso ispettore di polizia, che conosce bene gli abitanti del quartiere, non esita ad avvisarli prima che arrivi un'ispezione dei gendarmi dell'immigrazione.
Una tale armonia umana non può che essere feconda: la stessa natura vi partecipa (il ciliegio del loro piccolo giardino è ormai forito) ed anche lo stesso Cielo (forse un miracolo) esulta


Un cast di attori franco-finlandesi, con le facce e le fogge da polar melvilliano, interagiscono in quel di Le Havre in un quartiere dove ancora “buongiorno vuol davvero dire buongiorno”, per usare – assolutamente non a caso - una frase di Miracolo a Milano, di De Sica e Zavattini. Eppure, la battuta più bella ed emblematica del film è proprio: “restano i miracoli”, dice il dottore, “non nel mio quartiere”, chiosa Arletty. È tutto qui il miracoloso (questo sì) nodo di poesia e disincanto, ottimismo e amarezza di cui è fatto Le Havre , uno dei migliori Kaurismaki in assoluto. Il finale si preoccuperà poi di illuminare il concetto, con uno splendido e improbabile ciliegio in fiore: un altro mondo è possibile o ci vorrebbe davvero un miracolo perché una storia come quella di Idrissa accadesse nella realtà? Entrambe le cose, sembra dire il regista: il cancro che affligge il nostro modo di vivere e di agire è a un livello più che mai avanzato, ma “restano i miracoli”.

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