Il Velo dipinto

IL VELO DIPINTO lunedì 21 maggio ore 15,30 e ore 21 Un film di John Curran. Con Naomi Watts, Edward Norton, Liev Schreiber, Diana Rigg, Toby Jones. Titolo originale The Painted Veil. Drammatico,durata 125 min. - USA, Cina 2006 Kitty, una giovane donna della borghesia inglese in età da marito, sposa Walter Fane, un medico specializzato in batteriologia che nutre per lei un sentimento profondo. Dopo il matrimonio, contratto per compiacere la madre, Kitty si trasferisce con Walter a Shangai, dove, annoiata, cede alle lusinghe di sir Charles Townsend, vice console maritato e padre di due figli. L'adulterio viene presto scoperto da Walter che, ferito, decide di rivalersi conducendo la moglie al villaggio di Mei-tan-fu colpito da un'epidemia colerica. L'isolamento forzato e le condizioni di morte e miseria in cui versa la gente del villaggio, costringono Kitty a un esame di coscienza che getta sul marito una luce nuova. Commossa dall'amorevole dedizione con cui Walter giorno e notte assiste i malati, Kitty decide di appoggiare la sua missione e di rendersi utile in ospedale. In quel luogo sperduto impareranno ad amarsi e a perdonarsi. I romanzi di Maugham, scrittore britannico morto nel 1965, sono stati per anni la magnifica ossessione di Edward Norton. La sua scelta è poi ricaduta su "Il velo dipinto", già trasposto sullo schermo nel 1934 da Richard Boleslawski e interpretato, nello splendore del bianco e nero, da Greta Garbo. Il risultato è un film delicato che restituisce allo spettatore l'esperienza di una lettura diretta del libro, a cui rimane fedele, almeno nelle atmosfere e nei dialoghi. Il velo dipinto, che pure pecca indubbiamente di prevedibilità, può però contare sull’indiscusso talento di Maugham di creare personaggi veri ed umani. Mutuando questa peculiarità dello scrittore il film riscatta i limiti della propria trama ed evita sdilinquimenti amorosi fini a se stessi. Sottolinea invece senza abbellimenti le meschinità borghesi tanto care al romanziere e privilegia l’approfondimento psicologico e l’analisi delle dinamiche di coppia. Nella parte iniziale viene opportunamente scelto l’inserimento di flashback alternati al viaggio verso il villaggio cinese, per raccontare come i due protagonisti sono arrivati al matrimonio e, poi, alla decisione di partire. A questo punto inizia il percorso di maturazione della fatua Kitty, ma anche, in modo diverso, di suo marito Walter. In principio si osserva l’autodistruzione fortemente ricercata, quasi con fatalismo, da un uomo congelato nel proprio rancore, nella delusione, nel senso di colpa e di vergogna che la moglie gli ha inflitto rendendolo spietato e senza scrupoli. Nella sua incosciente leggerezza la protagonista diviene quasi, di fronte ad una vendetta fatta anche di ostentata indifferenza, una vittima dell’uomo che ha tradito e ferito. La sceneggiatura ha infatti la capacità di mostrare sempre tutte le prospettive, tutta l’ambivalenza di torti e ragioni, la reciprocità dei rancori e dei rimorsi. Gradualmente, dopo qualche lungaggine, subentrano l’accettazione l’uno dell’altro, con il passaggio dalla proiezione di desideri alla reale conoscenza e infine, nell’ordine, l’amore ed il perdono. La Kitty di John Curran è certamente più moderna e meno greve del suo doppio letterario. Su una cosa regista e scrittore sono d'accordo: l'infedeltà non comporta necessariamente la rovina. Basta s-velarsi e trovare la strada del perdono.

IL PICCOLO NICOLAS E I SUOI GENITORI

IL PICCOLO NICOLAS E I SUOI GENITORI lunedì 14 maggio ore 15.30 e ore 21 Titolo Originale: Le petit Nicolas Paese: Francia Anno: 2009 Regia: Laurent Tirard Sceneggiatura: Laurent Tirard, Grégoire Vigneron, Anne Goscinny, Alain Chabat Durata: 90' Interpreti: Maxime Godart, Valérie Lemercier, Kad Merad

Una piccola cittadina francese, inizio anni '60. Nicolas ha 8 anni, è un bambino sereno, vuol bene alla mamma e al papà ma anche alla maestra che è molto dolce. Poi un giorno un terribile sospetto: sta per arrivare un fratellino e a giudicare da quanto è accaduto ai suoi compagni, deve essere una esperienza terribile: rischia di venir abbandonato. Medita quindi con i suoi amici di far rapire il bimbo appena sarà nato. Intanto il padre cerca di mettersi in mostra davanti al suo capoufficio ma inutilmente; per fortuna la moglie ha un'ottima idea: invitare il capoufficio e consorte a una cena. Ma forse l'idea non è così buona come sembra... Nato dalla penna di René Goscinny, co-autore di Asterix e di Lucky Luke, e dal talento di Jean Jacques Sempé, nel marzo 1959 appare su "Soud Ouest Dimanche", il primo episodio della serie di racconti umoristici illustrati, che ha per protagonista un bambino che racconta in prima persona le proprie avventure. Qualche mese dopo Le petit Nicolas, fa la sua comparsa sul celebre periodico di fumetti d'oltralpe, "Pilote" e ben presto entra nella storia della letteratura moderna per l'infanzia. A cinquant'anni dalla nascita del personaggio, Laurent Tirard propone un adattamento della serie per il grande schermo. Uscito a fine settembre 2009 in Francia, Il piccolo Nicolas e i suoi genitori ha già registrato un record di incassi, ripetendo quel piccolo miracolo di diverso tempo prima. Il segreto della pellicola, come del resto della fortunata saga, consiste nel raccontare un universo filtrato dalla sensibilità e dalla fervida immaginazione infantile di uno scolaro e dei propri compagni. Nel dare corpo alla fantasia di Nicolas, il regista mette in scena una Francia degli anni Cinquanta stilizzata, sospesa nel tempo, irreale, dove non esistono criminalità, violenza, indigenza, dove tutt'al più qualche marachella non ha tuttavia gravi conseguenze. Un mondo che sorride delle incomprensioni tra grandi e piccini, che pone sullo stesso piano, le bravate dei ragazzini e le ansie di prestazione dei grandi, dove il caos creativo irrompe benevolmente in un universo fin troppo ordinato. Bravi gli attori nel dare vita ai piccoli eroi.

Angel e Tony


Lunedì 7 maggio
ore 15,30 e ore 21

ANGEL e TONY
Genere:Drammatico
Regia: Alix Delaporte
Interpreti: Clotilde Hesme (Angèle), Grégory Gadebois (Tony), Evelyne Didi (Myriam), Jérome Huguet (Ryan), Antoine Couleau (Yohan), Patrick Descamps (il nonno), Lola Duenas (Anabel).


In un paesino della Normandia, la giovane Angèl, condannata perchè ritenuta responsabile di un incidente costato la vita al marito, esce in libertà provvisoria ma non può prendersi cura del figlio che viene affidato dai giudici ai nonni paterni. Angèle cerca di riprendere i vecchi legami perduti. Per avere l'affidamento del figlio, nel frattempo lasciato in custodia ai nonni, cerca un contratto di lavoro e un uomo da sposare. Mette un annuncio sul giornale al quale risponde Tony, un marinaio del porto, ma durante il primo incontro i due non riescono a entrare in sintonia. Angèle non si rassegna e continua a insidiarlo: si sistema in una stanza a casa sua e comincia a lavorare anche lei al porto. Piano piano le due anime solitarie troveranno il modo per comprendersi e, forse, amarsi.

E' la cronaca, quanto mai aspra e sofferta, di un rapporto che nasce dal niente, cresce nell'incertezza e matura nella fiducia reciproca. Il copione scandisce con puntalità e misura i sottili e impercettibili cambiamenti che aprono spazi di sentimenti nei due protagonisti. La vitalità e la rabbia di Angèl devono misurarsi con il carattere ruvido di Tony, i suoi silenzi, il suo vivere concreto attaccato al lavoro sul mare. Dubbi, diffidenze, paure non prendono il sopravvento sulla volontà di verificare la possibilità di costruire qualcosa di buono. A dare convinzione e realismo a questo difficile scontro caratteriale interviene la messa in scena, esemplare per il taglio espressivo che unisce realismo e fiaba. La regista dimostra all'esordio un occhio acuto e sensibile nel rendere l'ambientazione parte importante nelle intermittenze del cuore e nell' ansioso diagramma degli affetti. I due personaggi principali hanno volti e corpi che riflettono ferite, strappi e voglia di ricominciare. Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come consigliabile, problematico e adatto per dibattiti.
Il film di Alix Delaporte ci induce ad ascoltare. La regia strutturata sui movimenti dell'anima impone un patto con lo spettatore: il rivelarsi calmo dei sentimenti richiede a chi sta ad osservare uno sforzo di concentrazione. È il presupposto per assaporare tutti gli sbalzi d'umore dei due protagonisti, raccontati con grazia da un'autrice indagatrice e puntigliosa ma saggiamente discreta.

Lezioni di cioccolato 2


Titolo Originale: Lezioni di cioccolato 2       
lunedì 30 aprile ore 15,30 e ore 21

Paese: ITALIA
Anno: 2011
Regia: Alessio Maria Federici
Sceneggiatura: Fabio Bonifacci       
Durata: 103
Interpreti: Luca Argentero, Hassani Shapi, Nabiha Akkari, Vincenzo Salemme, Angela Finocchiaro       
 
Mattia, che abbiamo conosciuto nel primo film della serie, è il solito geometra maldestro negli affari e volatile nei sentimenti, mentre l'amico egiziano Kamal, completato il corso alla Perugina, ha aperto una pasticceria ma i clienti sono pochi. Entrambi hanno bisogno di una svolta. Entrambi però si mettono di nuovo nei guai: Kamal, per ottenere dei finanziamenti, paga una tangente e rischia di venir incriminato; Mattia si innamora di una ragazza egiziana ma non sa che Nawal altri non è se non la figlia del suo amico...
 
Avevamo apprezzato il primo Lezioni di cioccolato per molti motivi: il modo divertente e positivo di mostrare l'incontro fra due culture; la progressiva maturazione di Mattia, in origine sessuocentrico e consumista, grazie anche all'amore per la saggia e bella Cecilia. Il film era stata la conferma delle buone doti di attore di Luca Argentero e la scoperta dell'irresistibile Hassani Shapi , sempre più apprezzato in Italia. Il pubblico aveva mostrato di apprezzare, per nulla spaventato dall'eccesso di product displacement della Perugina, con una buona risposta al botteghino.
Era quindi prevedibile un sequel che cercasse di rinnovare la formula conservandone tutti gli aspetti positivi. Per ripartire con una nuova storia d'amore a beneficio di Mattia è stata sacrificata Cecilia, la sua precedente fidanzata (Violante Placido) ed è entrata in campo la tunisina Nabiha Akkari , reduce dai successi di Che bella giornata; ritroviamo anche l'egiziano Kemal che questa volta è diventato il vero co-protagonista della storia. Anche la struttura narrativa è rimasta invariata, tutta incentrata sugli equivoci (Mattia si innamora di una bella egiziana, senza sapere che in realtà è figlia di Kamal). Per arricchire la storia è stato inserito come sub-plot un'altra storia contrastata: il timido Vincenzo Salemme, maître della Perugina, cerca di corteggiare la ruvida ma ansiosa Angela Finocchairo, commissario di polizia.
Forse è proprio questo il problema della seconda puntata Perugina: nel timore del vuoto narrativo si sono aggiunti personaggi non omogenei al racconto e nell'impegno di valorizzare l'egiziano Kamal si è smarrita la coerenza dei personaggio.
Il personaggio di Nawal si mostra capace di dirottare il frivolo Mattia verso un amore vero, che corrisponda a un impegno per tutta la vita.
Il film affronta senza reticenze il tema dei rapporti prematrimoniali: se per Mattia la convivenza è un passaggio obbligato prima del matrimonio per "conoscersi meglio", Nawal gli prospetta, coerentemente con la sua tradizione, una visione diversa: è la decisione di sposarsi e di stare insieme per la vita che ha come suggello l'unione fisica .
A dire il vero il gesto di Nawal, più che un'intima convinzione sulla verità del matrimonio (lei stessa riconosce che avrebbe volentieri accettato la proposta del ragazzo, se non fosse stata trattenuta dal dovere di rispettare il volere del padre) appare un retaggio tutt'ora forte di tradizioni nazionali e famigliari.
Il colloquio confidenziale fra Mattia e il suo assistente Vito, che ricorda la sua giovinezza e il suo matrimonio con una ragazza rigorosamente illibata confermano la tendenza a considerare la castità matrimoniale un retaggio del passato o tradizioni di società diverse dalla nostra.
Ma tant'è, il comportamento finale è quello giusto.

MIRACOLO a LE HAVRE


MIRACOLO a LE HAVRE
lunedì 23 Aprile ore 15,30 e ore 21

Titolo Originale: Le Havre

Paese: Francia, Finlandia, Germania

Anno: 2011

Regia: Aki Kaurismäki

Sceneggiatura: Aki Kaurismäki

Durata: 93

Interpreti: André Wilms, Kati Outinen, Jean-Pierre Darroussin, Blondin Miguel

All'inizio del film il lustrascarpe Marcel e un suo collega vietnamita sono fermi alla stazione in attesa di clienti . Loro non guardano i volti delle gente che passa oltre frettolosa, ma i loro occhi sono fissi sulle loro scarpe, nella ansioso sforzo di individuare quelle di cuoio invece che le solite scarpe in materiale sintetico.
E' una annotazione minuta che fa il regista, la prima delle tante: nel micrococosmo in cui si svolge buona parte del film (la modesta casa in cui vive Marcel con la moglie Arletty, la panetteria, il bar e il negozio di frutta accanto a loro) l'attenzione si concentra sui piccoli gesti di ogni giorno: cucinare un uovo, lustrare le scarpe, mettere il modesto guadagno giornaliero in una scatola di latta nel cassetto della credenza, aprire l'armadio dove ci sono non più di due o tre vestiti.
E' un processo di semplificazione del linguaggio filmico che l'autore compie perché non è un fatto di cronaca che ci vuole raccontare (i presupposti ci sarebbero tutti: il fenomeno sempre attuale del flusso di clandestini che da Le Havre vogliono recarsi in Inghilterra) ma una novella gentile fuori del tempo. Anche il montaggio e le musiche hanno un gusto vintage e ricordano certi film a lieto fine degli anni '50

La semplificazione del fondale ha inoltre il vantaggio di porre in risalto i vari personaggi e ciò che senza troppe parole vogliono esprimerci.

La solidarietà matrimoniale e la benevolenza con i vicini di strada sono gli atteggiamenti predominanti.
Quando Marcel torna a casa la sera stanco e va a letto, Arletty si attrada a stirargli quel'l'unico vestito da lavoro e a lucidargli le scarpe, in modo che questo suo "marito bambino, mai cresciuto" possa trovarli già pronti per il giorno successivo. L'arrivo in casa di un bambino di colore scappato alla polizia innesca la solidarietà dei vicini: se Marcel va fino a Calais per trovare il nonno del ragazzo, la barista e la panettiera sono pronti ad offrire i loro risparmi per consentirgli di andare in Inghilerra dove l'attende la madre. Lo stesso ispettore di polizia, che conosce bene gli abitanti del quartiere, non esita ad avvisarli prima che arrivi un'ispezione dei gendarmi dell'immigrazione.
Una tale armonia umana non può che essere feconda: la stessa natura vi partecipa (il ciliegio del loro piccolo giardino è ormai forito) ed anche lo stesso Cielo (forse un miracolo) esulta


Un cast di attori franco-finlandesi, con le facce e le fogge da polar melvilliano, interagiscono in quel di Le Havre in un quartiere dove ancora “buongiorno vuol davvero dire buongiorno”, per usare – assolutamente non a caso - una frase di Miracolo a Milano, di De Sica e Zavattini. Eppure, la battuta più bella ed emblematica del film è proprio: “restano i miracoli”, dice il dottore, “non nel mio quartiere”, chiosa Arletty. È tutto qui il miracoloso (questo sì) nodo di poesia e disincanto, ottimismo e amarezza di cui è fatto Le Havre , uno dei migliori Kaurismaki in assoluto. Il finale si preoccuperà poi di illuminare il concetto, con uno splendido e improbabile ciliegio in fiore: un altro mondo è possibile o ci vorrebbe davvero un miracolo perché una storia come quella di Idrissa accadesse nella realtà? Entrambe le cose, sembra dire il regista: il cancro che affligge il nostro modo di vivere e di agire è a un livello più che mai avanzato, ma “restano i miracoli”.

UNA SEPARAZIONE


Lunedi 16 Aprile 2012 ore 15.30 e ore 21.00

UNA SEPARAZIONE
La fedeltà coniugale
Orso d'oro al Festival di Berlino, Oscar 2012 come miglior film straniero
Titolo Originale: Jodaeiye Nader az Simin

Paese: IRAN

Anno: 2011

Regia: Asghar Farhad

Sceneggiatura: Asghar Farhadi

Produzione: Asghar Farhadi

Durata: 123

Interpreti: Sareh Bayat, Sarina Farhadi, Peyman Moadi, Babak Karimi, Ali-Asghar Shahbazi

Simin vuole divorziare dal marito Nader perché l’uomo, per assistere il padre malato d’Alzheimer, ha deciso di rimanere in Iran anziché espatriare con la moglie e la figlia di undici anni. I due si amano ancora, ma per ripicca Simin si trasferisce dai genitori, lasciando soli la figlia e il marito con l’anziano malato. Nader deve assumere Riazeh, una donna incinta che lavora come badante di nascosto dal marito, rigido osservatore della Shari’a.
Un giorno Riazeh lega l’anziano al letto e si allontana. Nader ritorna con sua figlia e trova il padre legato, in stato di shock. Al rientro della badante, furioso, la allontana, spingendola fuori dalla porta. La sera stessa viene accusato di aver causato la morte del figlio che Riazeh aspettava, avendola fatta cadere sulle scale. È l’inizio di una guerra di tutti contro tutti, giocata in tribunale, tra menzogne e ipocrisie.

Nader e sua moglie Simin stanno per divorziare. Hanno ottenuto il permesso di espatrio per loro e la loro figlia undicenne ma Nader non vuole partire. Suo padre è affetto dal morbo di Alzheimer e lui ritiene di dover restare ad aiutarlo. La moglie, se vuole, può andarsene. Simin lascia la casa e va a vivere con i suoi genitori mentre la figlia resta col padre. È necessario assumere qualcuno che si occupi dell'uomo mentre Nader è al lavoro e l'incarico viene dato a una donna che ha una figlia di cinque anni e ed è incinta. La donna lavora all'insaputa del marito ma un giorno in cui si è assentata senza permesso lasciando l'anziano legato al letto, un alterco con Nader la fa cadere per le scale e perde il bambino.
Asghar Faradhi conferma con questo film le doti di narratore già manifestate con About Elly. Non è facile fare cinema oggi in Iran soprattutto se ci si è espressi in favore di Yafar Panahi condannato per attività contrarie al regime. Ma Faradhi sa, come i veri autori, aggirare lo sguardo rapace della censura proponendoci una storia che innesca una serie di domande sotto l'apparente facciata di un conflitto familiare. Il regista non ci offre facili risposte (finale compreso) ma i problemi che pone sono di non poco conto per la società iraniana ma non solo. Certo c'è il quesito iniziale non di poco conto: per un minore è meglio cogliere l'opportunità dell'espatrio oppure restare in patria, soprattutto se femmina? Perchè le protagoniste positive finiscono con l'essere le due donne. Entrambe con i loro conflitti interiori, con il peso di una condizione femminile in una società maschilista e teocratica ma anche con il loro continuo far ricorso alla razionalità per far fronte alle difficoltà di ogni giorno. Agghiacciante nella sua apparente comicità agli occhi di un occidentale è la telefonata che la badante fa all'ufficio preposto ai comportamenti conformi alla religione per sapere se possa o meno cambiare i pantaloni del pigiama al vecchio ottantenne che si è orinato addosso. Sul fronte opposto della barricata finiscono per trovarsi gli uomini che, o sono obnubilati dalla malattia oppure finiscono con l'aggrapparsi a preconcetti che impediscono loro di percepire la realtà in modo lucido. Ciò che va oltre alla realtà iraniana è l'eterno conflitto sulla responsabilità individuale nei confronti di chi ci circonda. Ognuno dei personaggi vi viene messo di fronte e deve scegliere. Sotto lo sguardo protetto dalle lenti di una ragazzina.
Una nota a margine: il cinema iraniano è veicolo stabile di una falsificazione narrativa che sta a priori di qualsiasi sceneggiatura. Sussistendo il divieto per le donne di mostrarsi a capo scoperto in pubblico i registi sono obbligati a farle recitare con chador o foulard vari anche quando le scene si svolgono all'interno delle mura domestiche narrativamente in assenza di sguardi estranei stravolgendo quindi la rappresentazione della realtà